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Quest'aula
non ha più pareti
ma alberi

 

Come ogni anno, preparare un corso

per i miei studenti non significa solo definire contenuti, modalità, verifiche, bibliografia ma anche domandarmi

in quale “assetto d’aula” quei contenuti possano venire meglio recepiti 

e rielaborati dagli studenti. 

Mi viene ogni anno assegnata un’aula diversa, qualche volta più ampia

e luminosa, qualche volta più rigida

e meno confortevole. Ma lo spazio

e il tempo in aula consentono

sempre qualche personalizzazione.

Docente di Urbanistica al Politecnico di Milano

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Quando, nel mio corso di Urbanistica al primo anno della facoltà di Architettura, lavoro con gli studenti sugli spazi del benessere, il ricordo degli spazi scolastici torna nel loro racconto come un tema doloroso. Le aule piccole, i corridoi lunghi e stretti, i pochi spazi verdi, le palestre inadeguate, le mense rumorose e affollate rimangono nella loro memoria come elementi con cui hanno dovuto convivere, ma che li hanno lasciati profondamente insoddisfatti. Penso con turbamento al numero di ore che i bambini e i ragazzi trascorrono nelle aule scolastiche, non solo perché queste sono spesso strette, anguste, buie, inadatte a gruppi numerosi, o troppo fredde o troppo calde, ma anche perché l’assetto tradizionale delle aule è inadatto a crescere cittadini sani e felici.

 

Sebbene esistano scuole all’avanguardia che offrono esperienze più ricche e stimolanti, se guardiamo all’esperienza media degli studenti italiani, soprattutto nelle aree più depresse e periferiche, dove la scuola rappresenta l’unico spazio di apertura a esperienze e stimoli culturali, dovremmo sentirci più indignati di quanto non lo siamo. E dovremmo portare più creatività e immaginazione di quella che spesso vediamo nelle aule, perché bastano davvero pochi accorgimenti pratici per cambiare radicalmente le cose. Come possiamo educare i ragazzi e le ragazze alla bellezza, alla natura, alla tutela del paesaggio, all’arte, al rispetto delle cose pubbliche, se la loro esperienza scolastica quotidiana avviene in contesti così privi di bellezza, di natura, di movimento e di libertà?

 

LE SCATOLE NON SONO ADATTE A EDUCARE TESTE BEN FATTE

Le aule tradizionali, quelle ereditate dal passato, sono rigide, con la cattedra e la lavagna, i banchi ordinatamente disposti in file regolari e separati tra loro per evitare qualsiasi scambio. Oggi, queste strutture appaiono come le meno adatte a coltivare le “teste ben fatte” di cui parla Edgar Morin: teste predisposte a sviluppare connessioni, a instaurare relazioni empatiche con gli altri e a scoprire il proprio talento, ad apprezzare l’arte e la bellezza.

 

L’aula tradizionale è stata concepita per un apprendimento passivo, con lo studente costretto a stare fermo, seduto e rivolto verso la cattedra, senza interagire con i compagni. Tuttavia, chiunque abbia una profonda esperienza di aula sa che appena si cambia questa rigidità, il movimento nello spazio stimola il pensiero. Quando l’assetto organizzativo dell’aula viene modificato e si introducono variazioni creative, come ci insegna la psicologia sociale, quell’insolito movimento nello spazio si trasforma in un movimento mentale. Uno studente sottoposto a un apprendimento passivo diventerà un lavoratore passivo, un cittadino passivo, poco educato alla creatività e alla responsabilità, con conseguenze rilevanti sulla nostra cultura civile. Dobbiamo ripensare gli spazi scolastici come luoghi adeguati a stimolare l’intelligenza emotiva, creativa, relazionale e anche manuale. I ragazzi sono portatori di contenuti e di domande, sono capaci di produrre sapere e conoscenza.

 

Lo spazio fisico è davvero quel “terzo maestro” che può supportare o ostacolare l’apprendimento: la scuola contemporanea dovrebbe ispirare curiosità, risoluzione di problemi, collaborazione, creatività e pensiero critico. Eppure, raramente lo fa. Quando si progettano nuove scuole o si rinnovano quelle esistenti, il processo di progettazione dovrebbe partire da queste riflessioni di fondo, non dalla ricerca di forme architettoniche o soluzioni distributive. Le aule sono essenziali per il benessere degli studenti e dovrebbero offrire un’atmosfera sicura, familiare e insieme stimolante, aperta, rivoluzionaria.

 

IL CORPO ABITA, IL CORPO APPRENDE

Tutti noi facciamo esperienza di spazi di architettura molto prima di capire cosa significhi la parola architettura. Questa comprensione nasce dalle prime esperienze di vita: la nostra camera, la nostra casa, la nostra strada, la nostra aula, il nostro paese, la nostra città, il nostro paesaggio. Li abbiamo vissuti fin da piccoli, inconsciamente, e poi li abbiamo confrontati con altri paesaggi, città e case che abbiamo incontrato lungo il cammino.

 

La nostra comprensione dell’architettura è radicata nell’infanzia e nella giovinezza. In modo naturale, capiamo che abitare uno spazio non significa solo disporre di un certo numero di metri quadrati, ma come diceva Umberto Galimberti, “avere nelle mani e nelle gambe le distanze”, ossia una consapevolezza profonda dello spazio che ci circonda. “Il corpo abita la casa perché la casa si è modellata sulle sue abitudini.” Lo stesso vale per la scuola, la strada, il quartiere.

 

Abitare un’aula è un’esperienza che raccoglie e coinvolge tutte le dimensioni della vita: il corpo con le sue necessità e abitudini, il bisogno di relazione, di riconoscimento, di ascolto, di vicinanza con l’altro, ma anche la necessità di dare un senso a tutto questo, lo stimolo, la curiosità, l’avventura. Abitare è anche un equilibrio, un continuo attraversamento di soglie, passando da un interno a un esterno senza sentirsi sopraffatti dallo spaesamento. È potersi muovere tra luoghi nei quali si è attesi e luoghi nei quali si è accolti. Questa è l’esperienza che ogni individuo fa nella propria vita quotidiana, che va ben oltre la mera abitazione fisica, coinvolgendo tutte le dimensioni dell’esistenza.

 

STIMOLARE I SENSI, CAMBIARE LE ABITUDINI, SOVVERTIRE GLI SPAZI

L’aula è una specie di porto franco: cornice nella quale prende forma il rapporto tra docente e discente, ma anche luogo nel quale i pari entrano in relazione tra loro e con il maestro secondo regole stabilite e condivise. In questo senso ogni classe è un sistema unico e ogni volta diverso, di relazioni, di scambi, di contrapposizioni, di legami. Pensare all’aula che ci ospita dovrebbe stimolarci almeno quanto pensare al programma e ai contenuti delle nostre lezioni. Come ogni anno preparare un corso per i miei studenti non significa solo definire contenuti, modalità, verifiche, bibliografia ma anche domandarmi in quale “assetto d’aula” quei contenuti possano venire meglio recepiti e rielaborati dagli studenti.

 

Mi viene ogni anno assegnata un’aula diversa, qualche volta più ampia e luminosa, qualche volta più rigida e meno confortevole. Ma lo spazio e il tempo in aula consentono sempre qualche personalizzazione. Quest’anno ho deciso che lavorerò su quattro dimensioni: la musica – ogni settimana due studenti avranno il compito di scegliere la colonna sonora delle ore in aula, senza vincoli, con totale fiducia, sia a corredo delle mie lezioni ex cathedra sia delle attività laboratoriali; l’assetto dei banchi deve poter seguire il tipo di attività nelle quali gli studenti saranno ingaggiati: ecco perché a rotazione agli studenti affido il compito di riorganizzare la disposizione dei banchi a seconda che prevalgano lezioni teoriche o momenti di dibattito che richiedono di guardarsi in faccia, lavori di gruppo, momenti di lavoro individuale; dieci minuti di esercizi di ginnastica e di rilassamento prima di iniziare le lezioni pomeridiane dopo il pranzo (momento sempre faticoso per riprendere la concentrazione), anche in questo caso proposti da una coppia di studenti a rotazione.

 

Mettersi in piedi e usare braccia e gambe è una piccola rivoluzione. Infine, le uscite fuori dall’aula. Basta poco: la piazza davanti al Politecnico di Milano, osservare le persone per strada, un giardino dove guardare la disposizione di alberi e panchine, e l’aula si dilata, incorpora lo spazio immediatamente fuori dall’aula, non ha più solo pareti ma anche alberi, alberi infiniti, per citare la famosa canzone di Gino Paoli.

 

Le emozioni, lo spazio aperto, alzarsi e muoversi, usare il corpo, superare imbarazzi e piccole timidezze, ascoltare una musica che tocca corde profonde, discutere di un tema divisi per gruppi, tutto questo ha molto a che fare con la qualità delle ore trascorse insieme, sulla disponibilità a fidarsi e affidarsi al docente, sulla memorabilità delle ore trascorse insieme. Ci sono voluti decenni di insegnamento per imparare a liberarmi delle costrizioni dell’aula e per capire quanti altri strumenti potevo usare oltre alla parola, ai libri, alla linearità dei ragionamenti. Insegnare è diventare – noi insegnanti per primi – spiriti liberi, capaci di abitare le aule e di trasformarle in luoghi di creatività e di benessere.

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