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George Gershwin.
Un americano a Parigi
George Gershwin.
Un americano a Parigi
La prima dell’opera si tenne
alla Carnegie Hall di New York
nel 1928, e fu da subito
un grandissimo successo.
La musica evoca luoghi,
suoni e sensazioni di un americano che passeggia per le vie di una Parigi animata e pulsante, di cui ascolta
i rumori e assorbe l’atmosfera,
assorto tra gaiezza e nostalgia.
Percussionista e musicologo
George Gershwin (New York 1896-Beverly Hills 1937), pur prematuramente scomparso, è stato un compositore con un’enorme influenza nell’ambito della musica americana e non solo. Gershwin non ebbe una formazione musicale accademica e i suoi lavori risentirono dell’humus culturale newyorkese, influenzato dalla spettacolarità di Broadway e di tutto il sistema commerciale ad essa collegato. Non stupisce dunque che egli, fin dai suoi esordi, fosse rinomato come pianista di musica leggera e soprattutto come compositore di songs, sovente scritte in collaborazione con il fratello Ira, che ne redigeva i testi. A 26 anni scrisse la celebre Rhapsody in blue, che segna l’inizio della produzione orchestrale del compositore newyorkese poi seguita dal Concerto in Fa per pianoforte, I Got Rhythm variations, An American in Paris, Cuban Ouverture e l’opera teatrale Porgy and Bess.
Furono dunque sostanzialmente due gli ambiti compositivi in cui Gershwin si cimentò: la produzione, maggiormente legata all’intrattenimento, di canzoni che divennero vere e proprie hit, e una produzione più paludata, costituita dalla già richiamata produzione orchestrale. Entrambi gli ambiti sono accomunati dall’impiego di un’istintiva e naturale ispirazione melodica, che rappresenta il reale tratto caratteristico della musica gershwiniana, anche quando essa travalica l’aspetto propriamente compositivo. Gershwin visse questa prorompenza dell’elemento tematico rispetto al rigore formale con una consapevolezza che, pur senza tradursi in un vero e proprio disagio, lo spinse quasi a ricercare una sorta di investitura dal più “solenne” mondo musicale nel quale in quegli anni, in Europa, spiccavano personalità quali Ravel, Debussy, Puccini, Stravinsky, Schönberg.
Fu anche per questo motivo che Gershwin viaggiò in Europa con l’intenzione di sottoporre la sua musica a questi grandi musicisti, addirittura chiedendo loro di impartirgli lezioni. Si rivolse in primo luogo a Ravel, ma pure a Stravinsky e a Schönberg, ricevendo però sempre un diniego alle sue richieste. Il motivo di tali risposte negative non è da ricondurre ad atteggiamenti di snobismo o presunta superiorità; in realtà, compositori della levatura di Ravel o Stravinsky avevano perfettamente compreso l’alto livello qualitativo della musica di Gershwin, con peculiarità e fisionomia autonome, ma ritenevano che contaminarla con l’accademia avrebbe significato compromettere la naturalezza e la ricchezza melodica di quello stile. Il musicologo italiano Gianfranco Vinay, uno dei più attenti studiosi di Gershwin, scrive: «Il Gershwin più caduco è infatti proprio quello che esibisce il proprio magistero tecnico acquisito componendo fugati scolastici e pagine ridondanti di armonie pseudo-debussyane o pseudo-pucciniane; sbaglia raramente, invece, quando dà libero sfogo alla propria vena melodica e la lascia espandere».
Quando, nel marzo 1928, Gershwin arrivò a Parigi, aveva già composto sia la Rhapsody in blue sia il Concerto in Fa per pianoforte. Era dunque già noto al raffinato pubblico parigino, che lo accolse con entusiasmo e grande calore. Nella capitale francese incontrò Prokofiev, Milhaud, Poulenc, gli stessi Ravel e Stravinsky, che erano già ammiratori della sua musica. Il trovarsi in una città come Parigi lasciò indubbiamente un segno nell’esperienza artistica del compositore newyorkese, che volle darne rappresentazione scrivendo il celeberrimo poema sinfonico An American in Paris.
Il concepimento di questo lavoro sinfonico, di ampie proporzioni e per grande orchestra, era in realtà già iniziato prima della partenza per l’Europa: qui fu ultimato nella versione pianistica, quindi orchestrato. Prima di concludere la scrittura del poema sinfonico, l’autore attese di entrare direttamente in contatto con il mondo che da lì a poco avrebbe dipinto musicalmente nel suo affresco sonoro, convinto che solo il contatto diretto con la vita parigina gli avrebbe consentito di riprodurne efficacemente i vari aspetti e i diversi risvolti nella sua partitura.
La musica evoca luoghi, suoni e sensazioni di uno straniero che passeggia per Parigi, un viaggiatore americano che riceve le impressioni di una città animata e pulsante, di cui ascolta i rumori e assorbe l’atmosfera. Il realismo della musica trova simpatiche e originali applicazioni ricorrendo, per esempio, all’uso di alcune trombette intonate volte a riprodurre in modo onomatopeico il suono dei clacson delle macchine che sfrecciano per le strade. Pare che lo stesso Gershwin abbia comprato quattro di queste trombette, in un negozio di accessori per automobili, in vista della prima esecuzione.
Questa si tenne a New York, il 13 dicembre 1928, alla Carnegie Hall, con la New York Philharmonic Orchestra, diretta da Walter Damrosch e fu da subito un grandissimo successo.
La partitura di An American in Paris racconta l’esperienza vissuta da Gershwin nell’arco di una giornata trascorsa nella capitale francese: la musica ripropone non le vicende di un musicista, o di un grande pianista, ma semplicemente quelle di una persona qualsiasi, che vive le proprie suggestioni e le emozioni suscitate dal rapporto con la realtà locale.
Viene così descritta musicalmente una spensierata passeggiata mattutina presso gli Champs-Elysées, con l’effetto dei già citati clacson che evocano il traffico frenetico delle automobili. Si racconta una sosta presso un cafè, quindi la contemplazione del Grand Palais e successivamente del Quartiere Latino. La permanenza in questo luogo ispira il celebre tema della nostalgia di casa, evocata dalla lentezza di un blues (Tempo di blues, in partitura), nostalgia che svanisce nell’incontro fortuito con un compatriota americano, che riporta la gaiezza nella musica, esattamente come all’inizio del poema sinfonico. Il modo in cui esso è complessivamente costruito punta a ricondurre la musica a una forma in tre sezioni, con un’esposizione del tema, uno sviluppo e una ripresa.
Non si tratta di una composizione in cui l’autore cerca di andare oltre i limiti di quello che sta effettivamente raccontando, egli sembra piuttosto voler dipingere musicalmente un mondo, colto in un preciso momento. Utilizzando l’arte più impalpabile e incorporea, Gershwin riesce a immergerci nel reale e nel tangibile, ci fa sentire i rumori del traffico urbano, nobilita la realtà oggettiva con una notevole capacità narrativa e espressiva, da sempre cifra caratteristica della sua musica.
Ancora Gianfranco Vinay scrive, per definire An American in Paris: «una sfilata di gustose immagini musicali che si susseguono velocemente come tanti fotogrammi di un film. Immerse in atmosfere timbriche e contornate da episodi che ora suggeriscono Ravel, ora Milhaud, ora Debussy, ora Stravinsky».
Non è dunque un caso che quest’opera musicale, anche in ragione della sua conformazione strutturale, abbia ispirato l’omonimo film musical, realizzato dalla Metro-Goldwyn-Mayer, diretto da Vincente Minnelli, con Gene Kelly e Leslie Caron. I testi delle parti cantate furono redatti dal fratello di George, Ira Gershwin. Il film, miscela perfetta di arte e tecnica nel cinema americano classico, uscì nel 1951 e l’anno dopo fu insignito di ben sei premi Oscar.
Ascolti:
- Direttore Leonard Bernstein – New York Philharmonic
- Direttore Lorin Maazel – New York Philharmonic
- Direttore Nat Shilkret - Victor Symphony Orchestra
Registrazione storica con George Gershwin che suona la celesta in orchestra