Ministro Valditara, la scuola secondo me va ri-sacralizzata perché è l’anima del Paese e prepara il cittadino anche dal punto di vista etico, non è soltanto un luogo dove si impara un mestiere o si impara a decidere un mestiere…
Ridare centralità
alla scuola
Scrittrice
(Fotografia di Giuseppe Moretti)
Testo rivisto dall'autrice
Ministro Valditara, la scuola secondo me va ri-sacralizzata perché è l’anima del Paese e prepara il cittadino anche dal punto di vista etico, non è soltanto un luogo dove si impara un mestiere o si impara a decidere un mestiere. Si impara anche l’etica, cioè a stare nel mondo prestando attenzione agli altri. Io dico spesso che in famiglia la democrazia non si impara, perché ci sono troppe dinamiche emotive, mentre a scuola si impara la democrazia, perché si è fra pari e si è fra uguali.
Ho visto che nelle scuole elementari, ad esempio, la maggioranza è composta da bambini stranieri, e i bambini si abituano a stare insieme con i loro coetanei stranieri, che è una cosa importantissima. Io sono anche molto d’accordo con l’idea di stimolare l’intelligenza creativa. Gli insegnanti dovrebbero essere attenti all’intelligenza emotiva e feconda dei loro alunni. Ha ragione il ministro quando dice che c’è un’intelligenza matematica, un’intelligenza artigianale, un’intelligenza speculativa, eccetera. Ma per fare funzionare queste diverse forme di intelligenza occorrono condizioni adatte: le classi con trenta persone non possono funzionare, perché per creare una sintonia tra l’insegnante e l’alunno bisogna conoscere l’alunno, bisogna individuarlo, bisogna creare un rapporto dialettico. E per fare questo è necessario creare classi di pochi studenti.
In molti Paesi europei non vengono ammesse più di quindici persone in una classe, e su questo bisognerebbe investire. Dal punto di vista edilizio, ad esempio: sono d’accordo quando si dice che la scuola deve essere anche bella. Perfetto. Perché una scuola pulita e piacevole è una scuola che mette voglia di imparare. Però devo dire, andando in giro continuamente nelle scuole, che purtroppo spesso le scuole non solo non sono belle ma sono anche maltenute, cadono a pezzi.
Inoltre, occorre investire sulla scuola pagando di più gli insegnanti, che per il momento sono trattati come se fossero l’ultimo gradino del lavoro sociale. Una vergogna. Ma non basta: gli investimenti devono andare verso una consapevolezza culturale, dando alla scuola autorevolezza. Per dare autorevolezza, però, bisogna renderla centrale nella vita del Paese. Puntare sulla scuola con tutti i mezzi e considerarla un ambiente assolutamente necessario e imprescindibile per la crescita del Paese.
Ma voglio dire qualcosa a proposito di ciò che diceva il professore Francesco Magni. Secondo me lui si riferisce a Paesi in cui c’è il feticismo della meritrocrazia, ma nel nostro Paese siamo talmente lontani dalla meritocrazia che non c’è questo pericolo. Noi dovremmo al contrario decisamente puntare sulla meritocrazia. Sappiamo quanto sia difficile, da noi, ottenere un responso al merito, tanto è vero che tutti i nostri laureati se ne vanno all’estero, dove guadagnano di più e fanno carriera. Questo vuole dire che da noi il valore non è premiato.
L’idea che la scuola debba essere una azienda purtroppo è sdoganata, tanto è vero che il preside viene chiamato dirigente scolastico. Questo vuole dire che si considera la scuola una azienda. Ma la scuola non deve e non può essere una azienda, deve essere un luogo di formazione, non di produzione. L’azienda quando non produce, chiude. La scuola non deve chiudere, anche quando non produce nulla, perché forma.
Un’altra cosa su cui bisognerebbe riflettere: la centralità della scuola nella vita del Paese. Troppi ragazzi oggi rinunciano all’apprendimento scoraggiati dall’aria che tira, dal fatto che quando usciranno dalla scuola non troveranno lavoro.
Quando vado nelle scuole e mi dicono “ma non potremmo insegnare anche nelle case attraverso internet?”, io dico no, e aggiungo che due attività secondo me hanno un assoluto bisogno della presenza: la scuola e il teatro. Durante la pandemia abbiamo visto che il cinema si poteva portare a casa e molti hanno imparato a vedere i film sullo schermo della televisione ormai sempre più grande e ottimale. Il teatro purtroppo non si può portare a casa e si basa sul rapporto vivo e diretto fra spettatori e attori vivi sul palcoscenico. Infatti, i teatri sono stati chiusi durante la pandemia, ma sono oggi pieni di un pubblico attento e appassionato che ha capito quanto ci sia mancato in questi due anni. La scuola lo stesso: non si può fare in differita. I ragazzi hanno bisogno della presenza degli altri ragazzi: le prime amicizie per la vita spesso nascono proprio nelle classi. Per non parlare del rapporto con l’insegnante che è fatto di gesti, di voce, di presenza e di dialogo.
Sono anche d’accordo con il professor Bruni, sul fatto che l’insegnante deve entrare in un rapporto dialettico tra insegnante e alunni: il docente, ogni volta che insegna impara anche qualcosa. Non c’è più un rapporto verticale di chi sa contro chi non sa. Ma c’è un rapporto di scambio. E il rapporto di conoscenza e di apprendimento non si può che fare insieme.
La famiglia italiana purtroppo è in crisi. E questo accade a tutte le famiglie italiane di oggi, e viene raccontato nei romanzi di oggi. Ci sono tanti libri, anche di giovani scrittori, che hanno come tema la crisi della famiglia: i rapporti fra padri e figli, una volta uscito dalla verticalità di una gerarchia stabilita, si è fatto competitivo e spinoso.
Teniamo presente che la durata della vita è raddoppiata, c’è il problema degli anziani e di cosa fare di loro una volta usciti dal lavoro, quando diventano giustamente bisognosi di una pensione, ma se non si fanno più figli chi pagherà le pensioni? C’è una sfiducia strisciante nei riguardi del futuro, e facilmente ci si affida alla tecnologia come se potesse risolvere tutti i problemi dell’umanità.
Ci vorrebbe un rapporto di maggiore vicinanza tra la scuola e la famiglia, che purtroppo oggi non c’è. Lo leggiamo nella cronaca dei giornali di quei padri e quelle madri che vanno a picchiare gli insegnanti perché hanno dato un brutto voto. Questa, ripeto, vuol dire, distruggere l’idea di scuola che un Paese dovrebbe avere. Bisognerebbe fare capire ai nostri governanti, ma anche alle famiglie, che la scuola è l’anima di un Paese, lì dove nasce e si forma il futuro di un popolo. Se si capisce questo forse si migliora anche il rapporto con le famiglie.
La scuola è molto maltrattata dall’opinione pubblica e dalle istituzioni, ma se sta in piedi nonostante tutto lo si deve a una rete di insegnanti bravissimi che lavorano quasi gratuitamente, ci mettono passione, ci mettono calore, ci mettono la propria vita. Sono insegnanti che hanno capito l’importanza della partecipazione al processo di conoscenza attraverso la riflessione fatta insieme coi ragazzi. Gli studenti di oggi vogliono questo, vogliono che la scuola sia il luogo dove possono tirare fuori la propria creatività. E non parlo solo dell’arte ma della creatività matematica, scientifica, religiosa. Quando si pratica questo sistema i ragazzi rispondono in maniera straordinaria.
Ora, purtroppo, bisogna ricordare che se nella scuola ci sono soprattutto donne è perché sono pagate poco. Nelle università invece la maggioranza è fatta di uomini, che sono pagati molto di più. Ma sappiamo che le donne, nonostante le molte conquiste, sono ancora pagate meno degli uomini e hanno meno possibilità di diventare dirigenti. Dobbiamo ringraziare le insegnanti che in questo momento stanno dando tanto, stanno tenendo in piedi la scuola nel suo momento più difficile e di fragilità.